Smart Working: giochiamo al lavoro di mamma

Smart Working: giochiamo al lavoro di mamma

Il gioco come opportunità di confronto generazionale

Lavorare da casa ha i suoi vantaggi.

Uno dei tanti è stato quello di poter mantenere una promessa fatta anni addietro ai miei bambini.

Portarli, almeno una volta, a lavoro con me.

Lasciando da parte un secondo il momento drammatico in cui ci troviamo e gli altrettanto seri temi sulla sicurezza chi da bambino non è stato anche per pochi minuti nell’ufficio o presso l’attività dei genitori.

Ho vissuto in prima persona quest’esperienza, e so, quanto bene mi abbia fatto e come abbia contribuito a costruire una relazione, più consapevole e rispettosa e degli impegni altrui.

Oggi sono le cose sono tanto cambiate ma non la valenza educativa per non parlare degli stimoli in materia di progettualità che una situazione del genere può ingenerare nei nostri piccoli.

I nostri figli ci osservano

I miei bambini sono sempre stati estremamente curiosi e per quanto mi riempissero di numerose domande nutrivo la sensazione che non fossero mai del tutto convinti.

Non è sempre facile parlare del proprio lavoro.

E poi diciamolo se amiamo ciò che facciamo siamo tanto di parte.

Prima di questa convivenza familiare forzata la mia giornata tipo era per lo più una grande parentesi temporale così caratterizzata:

  • “Buongiorno amori miei…dai, dai, dai…bla bla bla, vi amo a più tardi!”;
  • Un buco temporale non ben definito;
  • Un rientro a casa rumoroso fatto di baci, abbracci, docce, cucina e tante domande…una tempesta di domande in tutte le direzioni (genitore vs figli e viceversa): com’è andata a scuola, a calcio, a danza, cosa hai mangiato, ti sei divertito e dall’altra parte che si mangia stasera, che ci vediamo in tv, che libro leggiamo etc.

Ecco perché quando giocavano a imitare il lavoro di mamma di solito indossavano degli abiti eleganti e facevano finta di stare sempre al telefono.

Ed effettivamente come dargli torto.

Ieri però mi hanno davvero lasciato a bocca aperta.

Il lavoro del recruiter agli occhi dei miei bambini

Da quando si lavora da casa il mio ufficio è quasi sempre la cucina.

È una stanza luminosa e separata dal resto degli ambienti.

Un microcosmo che mi agevola nella gestione delle attività presenti sulla mia tabella di marcia giornaliera.

I miei bambini mi ascoltano e osservano con piacere.

Lavorando esclusivamente con gli auricolari sentono solo me e cercano di leggere le mie emozioni dalle espressioni del viso.

Probabilmente è per questo che in un pomeriggio uggioso hanno deciso di giocare al lavoro di mamma.

È così che ricevo una convocazione da parte di entrambi per un colloquio di selezione.

La posizione oggetto di ricerca è per la segreteria di uno studio medico associato.

Ovviamente il loro.

Dopo i primi convenevoli mi hanno fatto accomodare.

Strutturandosi con ruoli e tempi ben precisi mi hanno fatto un colloquio a due.

Spettacolo.

Il grande, che ha 9 anni, prima di iniziare, mi ha, anche, mostrato i locali dello studio e spiegato nel dettaglio la mansione.

Da qui una serie di domande, orientate soprattutto a valutare la mia aderenza al ruolo.

Per ogni quesito mi è stato assegnato, inoltre, un punteggio. Al termine del colloquio ho ricevuto un feedback immediato ricco di motivazioni ben argomentate.

La piccola, che ha 6 anni, invece, mi ha rivolto domande molto tecniche sulle competenze e sulla mia disponibilità a lavorare per una realtà come la loro.

Sì sembra incredibile ma mi ha raccontato quali erano i loro obiettivi a medio e lungo termine.

Quali riflessioni mi porto a casa

Bene inizierei dal fatto che tutto questo probabilmente non lo avrei vissuto se non vi fosse stata l’opportunità di lavorare in Smart Working.

Il tempo che trascorriamo con i nostri figli e non necessariamente quello dedicato al gioco è prezioso per loro quanto per noi.

Da HR, invece, non posso che confermare che al di là degli obiettivi aziendali, della formazione accademica non ci saranno mai due colloqui di lavoro uguali!

Grande spunto quello di un sistema di feedback a step, con il rilascio del primo immediatamente al termine del colloquio.

Un’idea che per i bambini, curiosi, impazienti e desiderosi di andare dritti al punto è la soluzione più ovvia.

In fondo credo che non dispiacerebbe neanche ai candidati soprattutto se il feedback si qualifica come restituzione aperta e reciproca.

Dietro a un gioco, dunque, una grande verità, quella che ognuno ha il proprio stile e di come sia possibile esprimerlo nella vita come nel lavoro.

A proposito Dell'autore

Claudia Campisi

Claudia, 40 anni. Psicologa, Career Coach & Hr specializzata nei settori Moda & ICT. Inevitabilmente Blogger, appassionata di lettura e alla costante ricerca di nuovi tools digitali da provare e condividere…meglio se a costo zero. Mamma, autrice e nomade digitale. Il mio motto non può che essere Smile is Chic!

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